Emilio Solfrizzi

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Moviemaniac.it – 30 gennaio

El Alamein – Linea di Fuoco

TULLIO KEZICH

Nel finale El Alamein – La linea del fuoco di Enzo Monteleone ci insegna con quale spirito si deve entrare in un sacrario di guerra. Dopo un secolo e mezzo di orribili monumenti ai caduti, scopriamo che per onorarli non servono vittorie alate né muscolari di bronzo: bastano i nomi e magari neppure quelli. È sufficiente la parola “Ignoto” su una lapide per farci provare una stretta al cuore in un misto di sentimenti che al rispetto associano la rabbia. E volutamente ignoti, scelti nell’anonima manovalanza della guerra, sono sullo schermo i soldati della Divisione Pavia, comandati ai bordi della depressione di Quattara fra ottobre e novembre 1942: una pattuglia sperduta proprio alla Ford. Travolti in una battaglia di oltre dieci giorni che a gli italiani costò 25.000 morti e 30.000 prigionieri, questi giovani (impersonati da attori tanto bravi da sembrare veri come lo stranito volontario Paolo Briguglia, il sergentaccio Pierfrancesco Favino, il tenente Emilio Solfrizzi e altri) fanno il loro dovere fra alternanze insopportabili di calori diurni e freddi notturni. Cannonate che sollevano nuvole di sabbia e insidiose fucilate di cecchini, reticolati e campi minati, fame molta e acqua poca. IL film non parla di politica né di alta strategia e sui signori della guerra si concede appena qualche stilettata ironica. Arrivano derrate di lucido da scarpe per la parata di Alessandria, che non si farà, e transita il cavallo di Mussolini suscitando tentazioni gastronomiche. Monteleone ci trasporta all’ interno della tragedia con la semplicità di Rossellini, mostrando una situazione dove la posta in gioco è la sopravvivenza: “Le pattuglie sono utili se tornano indietro” raccomanda il pragmatico Solfrizzi. Arpeggiando sui notturni e sui rombi guerreschi, ingegnose soluzioni all’italiana sono attuate dalla produzione per illuderci di star vedendo più di ciò che il budget ha concesso di mettere nell’inquadratura. La stupenda fotografia, sapientemente decolorata, è di Daniele Nannuzzi. Sarebbe interessante la colonna sonora di Livio e Aldo De Scalzi, ma il rigore della messa in scena respinge la musica come superflua. Qualche “cammeo” di attori noti ravviva il cast: Silvio Orlando, generale suicida, Roberto Citran, colonnello imbecille, Giuseppe Cederna, medico stoico. Sulla battaglia che costituì una svolta nella Seconda guerra, tanto che Churchill disse: “Prima non avevamo mai vinto, dopo non abbiamo più perso”, El Alamein – La linea del fuoco non è il primo film. Ci fu nel ‘ 57 un El Alamein – Deserto di gloria (due sottotitoli, due climi, due epoche) di Guido Malatesta, tanto dimenticato quanto questo di Monteleone resterà.

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