La Gazzetta del Mezzogiorno – 26 gennaio
Cinema d’autore in tv, con “Luisa” si può
Eccellente prima puntata dei Taviani su Raiuno. Solfrizzi mai così bravo
ANTON GIULIO MANCINO
Esiste ancora la possibilità di coniugare il cinema d’autore con le esigenze romanzesche e fluviali tipiche della programmazione televisiva in prima serata sulle tv pubbliche. Dopo il tolstojano Resurrezione, Paolo e Vittorio Taviani ieri sera con la prima parte di Luisa Sanfelice (la seconda andrà in onda oggi sempre su Raiuno alle 20.45) sono tornati alla loro passione cinematografica, letteraria e storica, che oscilla tra l’ansia rivoluzionaria e la consapevolezza della caducità delle grandi utopie e i romanzi storici ambientati tra Sette e Ottocento.
Luisa Sanfelice dà infatti ragione agli autori di San Michele aveva un gallo e Allonsanfan: il loro modo di concepire il cinema, in chiave didattica, divulgativa, melodrammatica e a tratti straniante, a metà strada tra Brecht, Marx e il romanzo popolare (“il grande feuilleton nell’accezione più alta del genere”, lo definiscono) è rimasto intatto anche sul piccolo schermo. Sia che attingano a Tolstoj a Goethe (Le affinità elettive) o ad Alexandre Dumas, come in Luisa Sanfelice , il cinema dei Taviani affronta di petto il conflitto tra tradizione e rivoluzione, reazione e innovazione come un evento destinato a profilarsi in un futuro ideale, mai maturo ma imminente.
L’impossibilità fatale di conseguire un traguardo sociale e politico radicale, tema chiave dei più celebri film della coppia di fratelli cineasti fiorentini, lo si evince sin dalla prima sequenza in cui la maga Margarita Lozano (icona dei Taviani da La notte di San Lorenzo a Kaos e Good Morning Babilonia) annuncia alla protagonista Luisa (Laetitia Casta) l’amore e la morte sul patibolo per il giacobino Soldano (Adriano Giannini, appena ferito dall’emissario Lello Arena, già protagonista per i Taviani di Tu ridi). Non è un caso infatti che la fine sia già iscritta nel prologo, così come la sorte della Repubblica partenopea, sorta nel gennaio del 1799 e rimasta in piedi per appena sei mesi, finché l’armata sanfedista non soffocò il sogno nel sangue e riportò i Borbone a Napoli.
E in questo film che i Taviani, studiosi e filologi attenti, sembrano aver tratto più che da Dumas dal Saggio storico sulla rivoluzione partenopea del 1799 di Vincenzo Cuoco del 1801, spicca il barese Emilio Solfrizi nel ruolo del “re lazzarone” Ferdinando, che per primo non crede che le sue truppe si faranno uccidere per un branco di ministri corrotti e, come lui stesso afferma (in barba alla fiera regina Carolina, interpretata da Cecilia Roth), per un re debosciato. È a tutt’oggi il suo personaggio più riuscito, tragicomico. Ci piace immaginare che abbia voluto omaggiare il Peppino De Filippo che lo interpretò già nel 1959 nel dimenticato ma eccellente Ferdinando I, re di Napoli di Gianni Francolini. Dove Eduardo impersonava un memorabile Pulcinella giacobino.