Il Manifesto – 9 novembre
“2061″, se l’Italia è attraversata da una ciurmaglia di rivoluzionari
MARCO GIUSTI
L’idea è notevole. Un mischione tra Attila, L’armata Brancaleone, i post-atomici fulciani e i film papalini di Gigi Magni. Il tutto per raccontare come nel 2061 l’Italia sia divisa in quattro parti, il sud in mano all’Islam, il centro in mano al Papa, la Toscana sprofondata in una guerra civile tra i casati dei Della Valle e dei Cecchi Gori, l’Emilia terra rossa sotto il simbolo di falce e mortadella, il nord in mano ai leghisti che hanno eretto un muro per non fare passare i terroni. In questa situazione si muovono un pugno di eroi, capitanati dal professor Maroncelli, cioè Diego Abatantuono che parla come il suo vecchio Attila, per rifare l’Italia o quel che ne resta. La storia inizia in Sicilia dove due ladruncoli, Antonello Costa e Paolo Macedonio, si imbattono nella ciurmaglia di Maroncelli, fatta di un vice napoletano, Dino Abbrescia, il grosso Grosso, Stefano Chiodaroli, un nocchiero gaio, Jonathan del Grande Fratello. Visto che Maroncelli deve recuperare un tesoro per comprare le armi per l’insurrezione si trova a percorrere l’Italia imbattendosi in una serie di assurdi personaggi. Rispetto a Olé, il cinepanettone con Boldi e Salemme che doveva sfidare il mammuth De Laurentiis del 2006, i Vanzina Brothers tentano qui qualcosa di più divertente e originale. Forse mettono sul piatto un po’ troppo e non tutto funziona. E Abatantuono, motore dell’operazione, si scatena in una serie di battute che non sempre vanno a segno.
La storia, proprio per la sua costruzione a sketch con personaggi sempre nuovi, mette in ombra certi caratteri che avremmo voluto vedere più sviluppati. Funzionano bene Sabrina Impacciatore come mignotta romana, Paolo Cevoli come compagno emiliano, ma Dino Abbrescia, che è perfetto in un ruolo di comico coatto, dopo un po’ scompare, e Jonathan, bella trovata di casting, si limita a subire battute scorrette sui gay.
Rimane grande il duetto in pugliese tra Emilio Solfrizzi e signora, Tiziana Schiavarelli, che non vede di buon occhio l’idea del marito di ospitare e sfamare i rivoluzionari. Buono anche il numero delle Brigate Battistuta capeggiate da Massimo Ceccherini, erede della dinastia dei Cecchi Gori che ricorda i bei tempi del cinema Adriano (il film va visto lì, a Roma, solo per questo…). I tempi veloci dei Brothers, che pure esaltano la presa diretta e la freschezza degli attori, non ci lasciano il tempo di apprezzare gli sketch. E troppo spazio viene dato ai prodotti sponsor, la Nutella, la Multipla e l’Astia Gancia, che diventano però momenti talmente smaccati e assurdi da assurgere allo straculto. Come del resto gran parte del film.